Ogni volta che cerchiamo una musica per i nostri video, sia professionali sia amatoriali, possiamo scegliere parecchie strade: dalla musica protetta alla musica royalty free fino ad arrivare a quella copyright free (o di Pubblico Dominio). A complicare le cose, poi, ci si mettono anche le licenze Creative Commons.

In quest’articolo vedremo innanzitutto quali sono le principali differenze tra le varie tipologie di musiche, compiendo un’analisi dei pro e dei contro e, infine, argomenteremo quale sia, a nostro avviso, la scelta migliore – sempre che una sola scelta sia possibile. Il tutto cercando di capire che cosa ci convenga di più – dal punto di vista economico, ma non solo.

Che cos’è la musica protetta

Partiamo dalla musica protetta perché, una volta chiarito questo concetto, si capirà meglio anche tutto il resto. Sino ad oggi, con pochissime eccezioni, la musica protetta costituiva la quasi totalità delle musiche, almeno nei Paesi occidentali o comunque a orientamento ‘occidentale’ (Australia, Giappone, Corea del Sud). “Protetta” significa che è riconosciuto un copyright (una proprietà) e che ci sono delle società che lo amministrano (le varie Società Autori e Compositori).

Quindi, ad esempio, ogni qual volta una radio o una TV, un negozio o una palestra trasmette un brano musicale, deve ottenere delle licenze (a pagamento) da queste società di collecting: in Italia, per fare alcuni nomi, sono SIAE, SCF, NUOVOIMAIE. Società che riscuotono le quote per conto degli aventi diritto (compositori, autori, registi, fotografi) e a questi ultimi poi li restituiscono. In buona sostanza, ci sono delle società che riscuotono, per gli autori/compositori, il diritto di poter sfruttare le loro opere, che sono opere dell’ingegno, e che quindi godono di un “trattamento particolare” rispetto a tutte le altre.

Che cos’è la musica royalty free

Innanzitutto sfatiamo un mito: royalty free non significa che questo tipo di musica non abbia un copyright, ce l’ha eccome. Significa esclusivamente che non vengono pagate royalties. E perché? Perché si pagano tutte in una volta sola (per così dire) al momento in cui si paga la prima e più importante licenza: quella del possesso (altrimenti detta anche del copyright). Del resto, è sufficiente concentrarsi un minimo sulla parola stessa: royalty free alla lettera significa proprio “libera da royalties”.

Le royalties sono delle percentuali che si pagano agli autori/compositori/aventi diritto per ogni utilizzo di un’opera musicale. In sostanza, con la musica royalty free non si dovranno più pagare royalties (alle già citate società di collecting) ogni volta che si utilizza un brano, ma solamente quando si compra il brano stesso. Il brano passa in TV, nella palestra o nel negozio? Non viene pagato. Il che significa però anche che, per contro, non ci si potrà avvalere delle società di collecting tradizionali – che non potrebbero mai consentire una cosa del genere, in quanto tutelano i compositori/autori a 360°.

Da qui, la nascita di società di collecting di altro tipo, come ad esempio Soundreef. I diritti, talvolta, vengono addirittura gestiti internamente dalle società stesse che vendono la musica royalty-free e che hanno quindi un rapporto diretto con i creativi e diventano un po’ delle società di collecting esse stesse.

Che cos’è la musica copyright free

In questo caso il concetto è molto più semplice: qui il copyright non c’è, tutta la musica è libera (o quasi). Troppo bello per essere vero. E, infatti, non è propriamente così.

Questa categoria può essere suddivisa in tre differenti tipologie: chi offre la musica gratis per l’ascolto personale (e sono spesso comunità di artisti che cercano visibilità, quindi si tratta di una sorta di mega promozione discografica); chi ha recuperato musiche di Pubblico Dominio, quelle cioè che appartengono a tutti noi una volta trascorsi 70 anni della morte dell’autore, e li rende a disposizione di chiunque; e chi, infine, offre la musica gratis per utilizzo professionale. E in questo caso, di solito, c’è una licenza e qualcosa da pagare, anche se indubbiamente i prezzi sono molto contenuti.

A noi interessa, in particolare, quest’ultima categoria: la musica copyright free vera e propria, per l’utilizzo professionale o semi-professionale. Utilizzare, però, queste tipologie di musiche per scopi professionali è un rischio: al di là della qualità della musica, che il più delle volte è molto bassa, spesso i player che la distribuiscono sono gruppi stranieri e le licenze non sono quasi mai trasparenti. Insomma, a livello professionale, meglio non rischiare.

musica royalty freeE le licenze Creative Commons?

Non bastavano tutte queste categorie, perché a complicare ancor di più le cose ci si mettono le licenze Creative Commons (CC). Si tratta, in super sintesi, di un’idea geniale, partorita da Creative Commons, un’organizzazione non a scopo di lucro: se lavoro in un istituto di ricerca oppure il mio video ha uno scopo sociale, posso cercare delle licenze che mi permettono di usare dei brani senza pagare e che gli stessi autori mettono a disposizione – gratis – proprio per questi scopi. Gli autori rinunciano quindi a una parte dei loro diritti, ma non a tutti.

Ci sono molti tipi di licenze, a seconda di quello che si effettua, ma se lavori per un’università o un’associazione umanitaria l’utilizzo di brani con licenze Creative Commons può essere sicuramente un’opzione molto valida. Un po’ meno se lavori a livello professionale: ma, appunto, non è mai stato questo, lo scopo dei CC.

Musica protetta, musica royalty free, musica copyright free, Creative Commons: che cosa scegliere?

In definitiva, dopo aver analizzato le differenti tipologie di musiche, la scelta – quando abbiamo bisogno di musiche per i nostri video – si assottiglia a due categorie: i cosiddetti some rights reserved (quindi le musiche royalty-free e le licenze Creative Commons) e i tradizionali all rights reserved. Lasceremo invece da parte le musiche copyright free, la cui qualità, almeno per ora, non risulta eccelsa. Discorso differente, sempre nella sfera dei copyright free, per il Pubblico Dominio: centinaia di interpreti di generazioni passate, di livelli stellari, che fanno da colonna sonora ai nostri video gratis. Che cosa chiedere di più?

In conclusione, quindi, le musiche royalty-free rappresentano sicuramente una comodità per il portafoglio, tanto di chi le compra quanto che di chi le vende. A pagare dazio, in questa scelta, sono gli autori e i compositori dei brani che si vedono decurtare di tutti i diritti derivati dai propri lavori. E questo può fare la differenza fra professione e “arrabbatamento” per tirare la fine del mese.  E un lavoro che non è più sostenibile, porta spesso alla caduta verticale sia della qualità sia dell’offerta, è inevitabile. Di conseguenza, le musiche all rights reserved sono forse la scelta più congeniale se si vuole far progredire tutta la filiera: una filiera che parte dai musicisti e arriva ai content creator.

Il dibattito vero verte allora sul concetto di diritto d’autore, di opera dell’ingegno: c’è un modo più smart per mantenerli vivi, nella nostra epoca? I CC ci sono riusciti, a loro modo: forse possiamo farcela a trovare soluzioni più moderne, ma non distruttive.

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